IL MIDOLLO DEL TRONCO

Montemelino è il midollo del tronco, il cuore della linfa, l’impronta della mia infanzia.

Ogni curva polverosa e sassosa conserva un po’ delle cicatrici di bici inesperte e intrepide.

La Torpedo Blu, la più piccola tramandata da sette generazioni, mi ha regalato l’euforia della libertà: la mia prima pedalata indipendente dallo zio Checco, dove noi, sette cugini, avevamo un appuntamento estivo imprescindibile.

Il grande casale, la stalla, il fienile e il campo erano lo scenario fantastico di spettacoli teatrali e di giochi senza frontiere.

Montemelino è il muretto del piazzale dai pini slanciati, che risuona in ogni foto di famiglia delle grandi occasioni… Vestiti e pettinati da femmina e da maschi, con i guanti bianchi. Mia madre in abito da sposa, con candidi merletti. Io e i miei fratelli. Un cuore inciso nella pietra, incastonato da licheni, da un soldato di passaggio.

È la scuola minuscola dove mia madre, la maestra, era la guida indiscussa di saggi operai aspiranti al diploma elementare. Montemelino è l’odore di tabacco e profumo negli abbracci di mio padre, il suo ufficio polveroso invaso da pesanti pensieri, “lo studio prima di tutto” era il refrain nelle sue apparizioni notturne. 

Montemelino sa di cuccioli di gatti, morbidi e fieri, occhi penetranti  dove infilare le monete della notte per superare le paure. Legami indissolubili, gomitoli di fili che non si spezzeranno mai, grazie a Rina. E Bruna che profumava di sapone buono. Le sue braccia forti mi avvolgevano per superare disagi e ingiustizie.

Montemelino sa di polpa di ciliegie, uva, nocciole e pinoli.

Frutti sottratti alla fauna locale, vera padrona della terra, rigogliosa e generosa, feudo nobile in un tempo medievale. A fior di pelle riesco a percepirne il profumo di violette, ciclamini, anemoni e lillà, a seconda delle stagioni.

 È la mia terra, avulsa dal mondo, sospesa nel tempo, che non segue il suono delle campane, ma il ritmo  di poche relazioni autentiche, in una rete primordiale dove i bambini sono figli di tutti. Di bambini eravamo in pochi e l’uliveto, il Rocolo, la panchina dove giocavamo a carte, le mura del castello dai nascondigli segreti, lo spaccio del Morino erano il nostro universo. Io e Anna Maria, unite e complici in un mondo di maschi. In estate il paese era arricchito dalle presenze “esotiche” delle grandi città. I cugini di Roma, i vicini di Firenze, lontani nello spazio, ma mai nel cuore.

Di esplorare sentieri sconosciuti,  ci è rimasta la voglia, da grandi. Il calesse del nonno Primino, che veniva a prenderci alla stazione desolata, è solo il primo scalpitio verso un mondo senza confini.

E ancora oggi, ora che sono lontana e vivo in città, se il sole splende, mi accorgo che le mura mi opprimono…. Sento il richiamo impellente di uscire di casa e accarezzare l’aria fresca, in cerca del profumo dei fiori.

Il mio progetto mira a rappresentare emozioni legate ad un luogo del cuore di mia madre: Montemelino. Case antiche sparse, abitate da poche anime, che si distribuiscono guardando la sommità della collina rigogliosa dove si erge il castello. E se l’ambiente, come afferma Maria Montessori, è maestro e capace di incidere una impronta indelebile nello sviluppo del bambino, i ricordi e le suggestioni sensoriali di Barbara restano ancora vividi nel tempo. Nei sentieri ripercorsi insieme ho aperto un dialogo intimo tra racconti e fotografie delle radici invisibili che mi legano a questa realtà.

 

Giacomo Rampagni