Perugia è (anche) in discesa

Il capoluogo umbro è una delle città più motorizzate d’Europa. Ma c’è chi prova a diffondere la cultura della bicicletta e della mobilità sostenibile: gli esempi di Fiab Perugia Pedala e Ciclofficina Popolare

C’è una strada, a Perugia, che da Porta Pesa va verso Porta Sant’Antonio: è (anche) una strada che scende, ma basterebbe chiedere a qualche perugino per convincersi del fatto che Corso Bersaglieri è senza dubbio una salita. Le percezioni a volte finiscono con l’assuefarsi alla mobilità su quattro ruote, marciando a senso unico, soprattutto in una città dove, secondo l’indagine Pendolaria- speciale aree urbane, condotta da Legambiente lo scorso anno, per ogni mille abitanti circolano 760 auto, seconda in Italia solo a Catania. Se è vero che a livello nazionale siamo tra i peggiori in Europa (secondo l’Istat 694 auto per mille abitanti, contro una media Ue di 571), il capoluogo umbro diventa una delle città più motorizzate del continente. Dato ingiustificabile, pur volendo tener conto degli inevitabili saliscendi della città. “Alla salita può finalmente pensarci il Minimetrò”, dichiara infatti Pino Calcagni, uno dei fondatori della Ciclofficina Popolare, che oggi sorge al civico 79 di quella strada in discesa cui accennavamo all’inizio, e sancisce: “In realtà, Perugia è una città in discesa”. La sua provocazione, invito ai concittadini a scegliere la bicicletta come mezzo di trasporto, racconta di una lunga battaglia cui lui stesso prese parte e che sfociò, nel giugno del 2012, nella possibilità di trasporto gratuito delle biciclette all’interno del Minimetrò. Battaglia ancor più vecchia della Ciclofficina, nata nel 2013 per iniziativa di un gruppetto di persone che si erano unite con l’obiettivo di fare massa critica sulla questione della mobilità sostenibile. Tra di loro c’era anche Calcagni: originario di Roma, a Perugia dal 1972, per molti dei suoi sessantotto anni di vita si è diviso tra “mobilità tutt’altro che dolce” – per lavoro si occupa di strade e ferrovie – e biciclette. “All’inizio non sapevamo neanche noi che cosa fosse una ciclofficina popolare”, confessa. L’idea di fondo è che questo spazio non è un negozio: “qui si trovano gli attrezzi, le conoscenze meccaniche e anche i rottami, ma la bici la ripari e la assembli tu”, spiega, ribadendo i punti elencati sul regolamento appeso all’interno. Chiavi, bulloni, tiraraggi, smagliacatene, gli attrezzi ammassati sul piano da lavoro; telai e ruote, appesi con dei ganci alle pareti o stipati sul fondo, i rottami da assemblare. A metterci le conoscenze meccaniche è, poi, un informatico appassionato del fai-da-te di nome Fabio Parmegiano Palmieri: un’infanzia trascorsa a Foligno a riparare bici con il nonno, l’avvicinamento a spazi di scambio, dalle ciclofficine ai “posti per nerd appassionati di computer”, durante un periodo a San Francisco, il tono deciso quando puntualizza: “Non è che vieni qui e mi lasci la tua bici: qui funziona con l’idea dello scambio umano, dell’imparare qualcosa di nuovo divertendosi”. Oggi è rimasto solo lui a presidiare questo spazio, tenendolo aperto ogni mercoledì pomeriggio dalle 17 alle 19: quando non viene nessuno ridà vita a vecchie bici per regalarle a chi ne ha bisogno. “Fino al Covid eravamo un bel gruppetto, a capitare erano soprattutto studenti e persone straniere. Poi la situazione è scemata, la compagnia si è persa. Io continuo a venire, lo faccio anche per me stesso. Dopo una giornata passata davanti al computer”, racconta, “ho bisogno di fare qualcosa di manuale, di sperimentare un approccio diverso al lavoro e alla vita”.

Dal 2013 a oggi la Ciclofficina Popolare ha conosciuto un periodo florido, quello dei suoi primi tre-quattro anni di vita: si organizzavano piccoli corsi e passeggiate in bicicletta, per diverse persone era un luogo di aggregazione. Attualmente vive una fase di declino, ma i pochi che continuano ad animarla riescono comunque a rivelarne la natura, popolare e resistente, a una città un po’ indolente dove la scelta di spostarsi in bicicletta è considerata, se non folle, quantomeno originale. Eppure Perugia è una città di studenti, eppure interi quartieri sono pianeggianti – basti pensare a Madonna Alta, Castel del Piano, ai Ponti, con la ciclabile lungo il Tevere. Eppure, infine, oggi si può contare sull’elettrico che se, da un lato, “rende l’uso della bici ancora più elitario, il che non si sposa bene con una ciclofficina popolare”, sostiene Calcagni, dall’altro consente di superare gli ostacoli legati ai dislivelli. È di quest’ultimo avviso Paolo Festi: per lui, cresciuto vicino a Bologna, la bicicletta un mezzo di trasporto lo è sempre stata; nel tempo è diventata anche strumento di svago, sport e lavoro – da alcuni anni ha intrapreso infatti un’attività di consegne a domicilio proprio in bicicletta. Ma non solo: “Per me la bici unisce tutte le sfere della mia vita, da quella lavorativa a quella esistenziale. Quando sono arrivato a Perugia ho trovato un contesto completamente diverso da quello a cui ero abituato”, racconta, “e così ho scoperto l’utilizzo della bicicletta come forma di resistenza, di fare politica, di partecipazione”. È dunque principalmente per attivismo che si è avvicinato a Fiab Perugia Pedala Aps, di cui dal 2019 è presidente. L’associazione, che quest’anno festeggia il decennale, ha sede in Corso Cavour 165, conta più di duecento iscritti e fa parte di una fitta rete di realtà in Italia che aderiscono a Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta). “Quando nacque, oltre trent’anni fa, il focus principale di Fiab ricadeva nel settore del cicloturismo. Nel tempo, soprattutto negli ultimi dieci anni”, racconta Festi, “si è andato sempre più sviluppando il filone legato alle attività di promozione dell’utilizzo della bici nelle aree urbane”.

Il primo aspetto si è mantenuto e potenziato, e viene recepito dalla sezione locale con l’organizzazione di uscite e cicloviaggi nell’ottica della scoperta del territorio e delle realtà che lo compongono: Resistere. Pedalare. Resistere, pedalata organizzata in occasione del 25 aprile da Borgo XX Giugno fino al monumento dedicato alle brigate Leoni e Innamorati ai Cinque Cerri, nel comune di Bettona, ne è un bellissimo esempio. Il secondo tema riguarda, al di là delle due ruote, azioni di sensibilizzazione della cittadinanza e di advocacy nei confronti delle istituzioni al fine di ottenere interventi e provvedimenti per migliorare la vivibilità urbana. Obiettivi che Fiab Perugia Pedala ha recepito, ad esempio, con l’organizzazione, a inizio maggio, di Bimbimbici, giornata dedicata a ripensare gli spazi della città, nel caso specifico di Borgo XX Giugno, mettendo i bambini, “cittadini di oggi, non solo di domani”, al centro. E, ancora, con la spinta alla realizzazione di una Consulta per la mobilità attiva e la sicurezza stradale. “Quello che chiediamo alle istituzioni si potrebbe racchiudere nel modello Città 30”, afferma Festi, facendo riferimento a un prototipo urbano già adottato da diverse città in Europa e nel mondo in cui il limite di velocità è di 30 km/h: uno studio del Politecnico di Atene pubblicato a maggio del 2024 dimostra che in queste città le collisioni stradali sono ridotte del 23% e le emissioni inquinanti del 18%. Perugia non ha nessuna zona 30, e un Pums (Piano urbano mobilità sostenibile) che risale al 2019: “Il Piano deve essere aggiornato e il nostro obiettivo è che al suo interno venga inserito un Biciplan, ossia la pianificazione della rete di percorsi ciclabili, obbligatorio per i comuni con più di 100mila abitanti. Una volta progettato il Biciplan, si intercettano i finanziamenti per lavorare sui singoli tratti. L’idea di fondo”, conclude, “è quella di favorire il sovvertimento dell’attuale gerarchia della mobilità, che vede il mezzo privato in cima e poi, a scendere, tutto il resto.

Beatrice Depretis