Sotto le lenti

A Perugia ci sono 330 telecamere di sorveglianza pubbliche. Ma siamo sicuri che si tratti dell’arma più efficace contro la microcriminalità?

Il papà ha appena dato un’altra spinta all’altalena. Dopo l’abbrivio la figlioletta orbita in aria contenta. Lui può cogliere l’attimo. Alla prima inalazione dalla sigaretta appena accesa, la testa si piega leggermente a guardare verso l’alto e lo sguardo va al lampione; a circa metà dell’asta che lo sostiene spuntano tre piccoli bracci ai quali è demandata una visione a 360 gradi. Telecamere. Il papà si sofferma a guardare mentre sbuffa fumo interrogandosi con vaga disattenzione. Un attimo. Poi torna a sua figlia.

L’angolo di verde mezzo spelacchiato contiguo al negozio della Coop, nell’ultimo tratto che percorre via Magno Magnini prima di buttarsi su via Cortonese, è forse quello più videosorvegliato della città. Tre telecamere per qualche decina di metri quadrati con due altalene e qualche panchina. Il cartello al bordo della strada informa che sono state posizionate lì nell’ambito del progetto “Perugia città sicura”, che va avanti da anni. L’ultimo finanziamento ne ha portate altre 14, l’annuncio è stato dato nella primavera scorsa. Con queste, la dotazione del Comune di Perugia è arrivata a 330 “occhi elettronici”, come vengono definiti; 46 solo «nell’area tra via Settevalli e via XX Settembre», informano da Palazzo dei Priori. A settembre scorso è stato dato il via libera per installarne anche nel piazzale antistante il cimitero di Ponte Valleceppi. Appena cinque anni fa, nel 2016, la “Rilevazione su sicurezza urbana e sicurezza stradale” commissionata dalla sezione umbra dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), aveva censito 66 telecamere in tutta la città. Parallelamente alla moltiplicazione del sistema di videosorveglianza pubblico, il Comune ha avviato nella primavera-estate del 2018 il registro di quelli privati. A dicembre di quell’anno erano stati mille i perugini che avevano dichiarato di avere installato almeno una telecamere di videosorveglianza nei pressi della propria abitazione o attività.

Le telecamere sono pure l’oggetto di alcuni Patti di collaborazione sottoscritti tra Comune e associazioni. I Patti nascono per regolare la presa in cura di beni pubblici – parchi, immobili o altro – da parte di soggetti del privato sociale. In diversi casi però sono diventati intese per il posizionamento di telecamere in aree demaniali. A Perugia è così in via Mameli, via dei Filosofi e via Angeloni.

Hanno un costo superiore ai mille euro l’una, le telecamere. Poi ci sono le spese di manutenzione. Secsolution, portale web dedicato alla sicurezza, ha rilevato nel 2019 un giro d’affari mondiale di 19,1 miliardi di dollari intorno ai sistemi di videosorveglianza, che rappresentano il 56 per cento del totale del business legato alla sicurezza. Nel 2025 si prevede che il giro arriverà a superare i 25 miliardi.

È anche guardando a queste cifre che vale la pena farsi un’idea sulla efficacia reale di questi costosi sistemi. La correlazione telecamere-sicurezza è data pressoché inconsciamente per scontata. Ma è possibile sottoporla a verifica? Misurarla in qualche modo? Si tratta di una operazione non semplice, e per giunta delicata, perché va a mettere in discussione quello che non è esagerato definire un assioma, una certezza auto-evidente.

Per orientarsi cercando di rimanere saldi su un terreno scivolosissimo si può ricorrere ai dati sui reati denunciati alle forze dell’ordine divulgati dall’Istituto nazionale di statistica. La maggior parte delle rilevazioni sul tema sono aggregate a livello provinciale. Ma a questo proposito occorre tenere presente che Perugia “pesa” per il 25 per cento della popolazione complessiva della sua provincia e le sue dinamiche, soprattutto per i reati cosidetti “predatori”, sono sicuramente ben rappresentate, forse anche al di là del “peso”. E poi quello che conta non è la misurazione dei fenomeni al millimetro, bensì capire le tendenze, tenendo anche conto che l’aumento del numero di telecamere installate si è avuto in tutti i centri urbani, non solo nel capoluogo.

Tralasciando il 2020, anno durante il quale diversi mesi sono stati trascorsi dalla stragrande maggioranza delle persone nelle rispettive case, con attività e luoghi di ritrovo chiusi a causa del lockdown e una circolazione assai ridotta – tutte condizioni che hanno favorito il calo dei reati – le statistiche dell’Istat sui crimini denunciati smentiscono quella che pare essere la convinzione piuttosto diffusa cui si è appena accennato, e cioè che l’aumento della videosorveglianza sia sinonimo di maggiore sicurezza. Nel periodo 2016-2019 le rapine in strada nella provincia di Perugia sono aumentate dalle 96 nel 2016 alle 99 del 2019; i danneggiamenti da 2.412 a 2.777, i furti nelle case da 2.387 a 2.734, quelli nelle auto da 1.958 a 2.059. I furti di auto, scooter e moto sono diminuiti, ma in maniera pressoché impercettibile. Si tratta di curve che dicono che nessun tipo di reato tra quelli legati alla microcriminalità, e per i quali le telecamere vengono invocate e installate come strumento di deterrenza, cala in maniera significativa dopo l’investimento in videosorveglianza. E i dati relativi ai reati connessi con gli stupefacenti non costituiscono eccezione: continuano ad aggirarsi intorno alla media di una denuncia al giorno, le telecamere non fanno effetto neanche qui.

Se l’effetto deterrente della videosorveglianza è quindi trascurabile, per capire gli eventuali benefici dell’investimento in installazione di telecamere occorre allora volgere lo sguardo al dopo, al momento successivo al quale il reato è stato commesso. Cioè: scontato il fatto che gli “occhi elettronici” non risparmiano le persone dal rimanere potenziali vittime di reati, la domanda da porsi che rimane è la seguente: la videosorveglianza serve almeno a scovare gli autori dei crimini? Facciamo parlare ancora i dati presi dalla realtà. Complessivamente, nel territorio della provincia di Perugia, la percentuale delle violazioni di legge di cui si è scoperto l’autore ha altalenato tra il 20 e il 21 per cento tra il 2016 e il 2019, per collocarsi al 24,4 per cento nel 2020. Arrotondando quindi, si è passati dal risolvere un caso su cinque a uno su quattro. Dei reati che però interessano qui, cioè quelli per i quali le telecamere potrebbero fare qualcosa, solo nel caso delle rapine commesse in strada si può concludere che c’è stato un apprezzabile aumento della percentuale di presunti autori scovati (dal 38,3 al 48,3 per cento). Secondo una ricerca del 2017 effettuata dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi e patrocinata dalla Regione, il reato nel quale gli umbri incappano più di frequente è il furto, con 153 denunce ogni 10 mila abitanti. Bene: dal 2016 al 2020, i presunti autori individuati per questo tipo di reato sono aumentati da 5 a 6 ogni cento casi. Su questi ultimi dati occorrono due precisazioni: la prima è che si tratta di cifre aggregate a livello regionale, e vale comunque l’indicazione di metodo fatta prima: danno un’idea della tendenza dei fenomeni; la seconda è che non si sa con esattezza se – ed eventualmente quanti di – quei “successi” sono da accreditare all’aiuto della videosorveglianza nelle indagini.

Tornando alle questioni connesse all’uso di stupefacenti, la mole di sostanze che circola in Umbria non pare essere stata affatto ridimensionata dall’incremento massiccio delle telecamere cui si è assistito. La relazione annuale della Direzione centrale antidroga del ministero dell’Interno riporta che nel 2020 in provincia di Perugia sono state effettuate 206 operazioni dalle forze dell’ordine; complessivamente sono stati sequestrati circa 60 kg di sostanze. Per avere idea della tendenza, il dato aggregato a livello regionale parla di un +8,7 per cento di sequestri nel 2020 – anno del lockdown – rispetto al 2019. Un dato di poco più basso rispetto al 2016.

La sostanziale equivalenza dei dati sui reati commessi, sui presunti autori rintracciati e sulle operazioni connesse agli stupefacenti nei periodi pre e post moltiplicazione delle telecamere porta a concludere che la videosorveglianza, di sicuro, non funziona come deterrente. Può essere, a volte, un aiuto ex post nello svolgimento delle indagini, ma se si apre un’indagine significa che la vittima del reato il danno l’ha già subìto. La videosorveglianza, insomma, non è uno strumento che agevola l’innalzamento effettivo del livello di sicurezza, come spesso si tende a credere, bensì, forse, quello percepito. Perché non consente di eludere un punto, che è quello della prevenzione ad ampio spettro, a sua volta connessa a fattori più ampi: benessere, qualità della vita e dei servizi erogati, lotta all’esclusione sociale. In questo senso l’installazione di telecamere può addirittura rappresentare un alibi per l’abbandono del presidio (sociale e securitario) di aree che si rischia di considerare coperte solo perché messe sotto la sorveglianza delle macchine.

C’è inoltre il rischio di un ulteriore effetto collaterale nell’affidarsi all’installazione di telecamere. È quello che viene definito “spostamento dei fenomeni”. Per spiegarlo, possiamo utilizzare le parole del Forum italiano per la sicurezza urbana (Fisu), un’associazione di decine di enti locali tra Comuni e Regioni attiva dal 1996, di cui fa parte anche il municipio di Perugia: «Il displacement (spostamento) è uno dei principali rischi che la criminologia individua in caso di interventi di prevenzione che agiscono sullo spazio o sul contesto della realizzazione del reato: ad esempio, rimuovere l’opportunità che avvenga un crimine […], non sempre previene effettivamente il crimine, ma talvolta semplicemente lo sposta». Nel nostro caso, l’installazione di telecamere a illuminare un’area, piuttosto che risolvere il problema, semplicemente lo trasferisce in un’altra zona; con la telecamera che rimane a osservare l’innocente papà che spinge l’altalena. Il displacement è uno dei fenomeni su cui i critici dei sistemi di videosorveglianza fanno leva per dimostrarne la sostanziale inefficacia. E sebbene i dati che abbiamo riportato sopra non lo misurino direttamente, è intuibile che rimanendo invariati i reati commessi, la moltiplicazione per cinque del numero di telecamere installate a Perugia, al massimo i problemi li ha spostati, non risolti.

Articolo e foto di Fabrizio Marcucci

Collage di David Montyel