La città delle notti e della musica. Intervista a Gianluca Liberali

A sedici anni saliva in macchina con due o tre amici poliziotti che andavano a ballare a Perugia. Il giovedì sera, all’Etoile, la discoteca commerciale che a quel tempo ha svezzato mezza città. Gianluca Liberali studiava all’istituto professionale, tornava in tempo per farsi due ore di sonno e poi filava a scuola. “I miei erano tranquilli, tanto quelli erano poliziotti”. Perugia era lontana ma era vicina, e Perugia sarebbe poi inevitabilmente diventata il posto ideale dove fare l’università. “A Roma ci sarebbero stati i parenti a tenermi d’occhio. E poi non la conoscevo per niente. Perugia invece sapevo già com’era fatta”. Com’era fatta, quindi, Perugia all’inizio degli anni Novanta? “Era un’esplosione di studenti. Ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo, e dappertutto. Io ero cresciuto in un paesino in provincia di Rieti, e nel giro di un’ora e mezzo venendo a Perugia entravo in Europa”.

Gianluca “Prinz” Liberali oggi ha quarantanove anni, una trentina dei quali vissuti a Perugia. A Perugia si è laureato in legge, a Perugia ha cominciato a lavorare giovanissimo trasformando un gioco – quello del p.r. di discoteche – in una cosa sempre più seria, a Perugia si è spostato e ha messo su famiglia: due figlie in età da elementari e un figlio che va alla materna.

“Quella dimensione internazionale s’è persa”, dice. “Le cose stavano cambiando già, ma la cesura evidente risale ai tempi dell’omicidio di Meredith Kercher”.

Novembre 2007, notte di Halloween, una studentessa inglese dell’Università per Stranieri viene trovata morta nella casa ai piedi del centro storico in cui viveva insieme ad altre ragazze. Un caso di cronaca nera che ben presto avrebbe assunto i tratti del film di cassetta. La bella vittima britannica, la bella sospettata americana, un colpevole italo-africano in fuga, eros, droga, Perugia dipinta dai media di tutto il pianeta come un luogo di perdizione.

“Nel giro di un paio d’anni ci siamo resi conto che qualcosa era irrimediabilmente cambiato. C’era meno gente in giro, soprattutto c’erano meno studenti stranieri”.

A quel punto Liberali era già diventato “Prinz” da un pezzo.

“Al paese mi chiamavano ‘Principe’ perché era il soprannome di Giuseppe Giannini, il centrocampista della Roma, il mio idolo da adolescente. A Perugia stavo sempre insieme a uno svedese e un turco che quando lo vennero a sapere mi ribattezzarono ‘Prince’, all’inglese”.

Da “Prince” a “Prinz”, e poi l’era delle discoteche.

“Fare il p.r. allora non voleva dire fare semplicemente il ‘buttadentro’ come adesso. I p.r. erano in tutto e per tutto dei rappresentanti dei locali, e chi era bravo riusciva a far girare un sacco di persone. Io dopo un po’ ne spostavo a migliaia. Prima mi pagavano in consumazioni, pian piano ho cominciato a guadagnare molto bene”.

Poi?

“Una sera, a una riunione tra p.r. con uno dei boss incontrastati delle notti perugine, ho capito che non era il mondo in cui volevo continuare a stare. Ho proiettato il me futuro su di lui, e non mi piaceva. In quel periodo avevo cominciato a bazzicare anche gli ambienti della musica live, che a Perugia imperversava. Ecco cosa volevo fare. Organizzare concerti”.

L’ultimo scorcio di secolo, in Italia, è coinciso con l’esplosione della scena musicale alternativa. Perugia non faceva eccezione.

“C’erano parecchi locali, e io cominciai a organizzare le serate del Mercoledì Rock. Esisteva già, la prima volta mi ci imbattei all’ex Saffa, poi lo presi in mano e lo portai prima al Domus e poi al St. Andrews, sempre in centro storico. Facevo la programmazione dei live, e a quel tempo si trattava di ascoltarsi i demo in cassetta, e spesso nemmeno quello. Certe volte ho organizzato concerti sulla fiducia nel passaparola, senza aver sentito nemmeno un brano della band. Dopo un po’ ho cominciato anche a mettere i dischi”.

Nel 2004, l’altra svolta.

“Mi laureo, e quattro giorni dopo sono dal notaio a firmare l’atto di costituzione della società che gestirà il Loop per sei anni”.

Il Loop Cafè, nella centralissima via della Viola, sarebbe stato un punto di riferimento per tutti gli appassionati di musica indie della città, e uno dei locali più importanti in assoluto di quell’epoca in tutto il Centro Italia. Il caso Kercher arrivò proprio nel pieno dell’età dell’oro del Loop.

“Intanto la riforma dell’università faceva nascere facoltà un po’ dappertutto, e nel mondo esplodeva la crisi finanziaria. In poco tempo a Perugia gli studenti stranieri, ma anche quelli italiani, non si vedevano più”.

Prinz nel frattempo aveva cominciato a lavorare anche nelle grandi produzioni di musica dal vivo, coi concerti da centinaia e migliaia di spettatori. Lo aveva arruolato Sergio Piazzoli, autentica istituzione del dietro le quinte del rock italiano dagli anni Ottanta in poi. L’inventore di un festival visionario come Rockin’ Umbria, e poi boss della Musical Box, con cui fino al 2014, anno della sua morte, ha organizzato regolarmente i concerti più importanti in tutto il territorio regionale. Da Bob Dylan a Lou Reed, e i pesi massimi italiani tutti. Dopo la morte di Piazzoli, ormai conclusasi l’esperienza con il Loop, Liberali si è messo in società con un’altra vecchia dipendente della Musical Box, Lucia Fiumi, riprendendosi presto una grossa fetta di mercato, inventandosi un festival di grande successo come Suoni Controvento e prendendo in gestione l’Auditorium San Francesco. E Perugia, nel frattempo?

“Perugia non è più quella di trenta o vent’anni fa, di sicuro. Per me la grande differenza la fa soprattutto la sua popolazione studentesca. Recentemente ha ricominciato a crescere, ma la Stranieri rimane in sofferenza, e nelle strade del centro, lungo via Pinturicchio (un’importante strada vicino alla sede della Stranieri, dove si trova, appunto, la casa natale del Pinturicchio, ndr), non si vedono più le distese di chiome bionde di un tempo. Ci sono molti più orientali, che però danno l’impressione di integrarsi meno con il resto della città. Di posti dove ascoltare musica dal vivo ce n’è ancora qualcuno, ma nulla di paragonabile ad allora. In generale, poi, i ragazzi sono sempre più abituati a stare fuori, da marzo a novembre: per i locali che non hanno spazio all’aperto, e per la conformazione della città sono la maggior parte, è dura. Di sicuro Perugia sotto quest’aspetto rientra in un processo molto più grande, che al di là dell’omicidio della Kercher ha a che fare con fenomeni di ampio respiro. Storici, economici, di contesto”.

A cambiare molto è stata anche la dimensione turistica della città.

“Sì, oggi Perugia è piena di turisti. Quando eravamo giovani mi ricordo che ci chiedevamo sempre perché i turisti non ci fossero. Perugia non aveva niente meno di Siena, ma era fuori dalle rotte di massa. Adesso le cose sono cambiate, è evidente. Esci per strada e incontri sempre qualche comitiva straniera o del Nord Italia che gira per il centro. Anche questo, però, secondo me dipende soprattutto da fattori di carattere generale. Non è tanto dovuto a politiche amministrative specifiche quanto al fatto che il modo di fare turismo, in Italia, ha subito una mutazione radicale. Anche per ragioni economiche. E soprattutto con il Covid. Città come Perugia, terre come l’Umbria, con i loro ritmi lenti e i vasti spazi, sono le mete ideali per sempre più gente”.

 

Testo di Giovanni Dozzini

Foto di Mohammad Ali Montaseri