Vi raccontiamo TimBooks

 

Alla rassegna letteraria nata dalla collaborazione tra ‘Luoghi Comuni’ e Cafè Timbuktu arriva Sandro Baldoni col suo ‘Occhi Selvaggi’. Finora è andata così. Alla grande

Dalla parete arancione acceso in fondo alla stanza due donne dalle sembianze mediorientali osservano immobili una tavolata dove conversano una quindicina di persone portando di tanto in tanto alla bocca calici di rosso vino sudafricano. Sul tavolo giace dimenticato qualche avanzo di platano fritto e di cous cous con salsa di burro di arachidi e pollo – tiga dege na, per dirlo nella lingua del luogo da dove questo piatto ha origine, il Mali. Le due donne, dai quadri su cui sono ritratte, vigilano l’ingresso della saletta, una sorta di privé a cui si accede inoltrandosi tra asimmetrici filamenti fatti di perline di legno verde e marrone che sanno un po’ di Africa, o almeno di qualche posto caldo e lontano. Siamo al secondo appuntamento di TimBooks, la rassegna che un giovedì sera al mese trasforma questo bar di via Danzetta – gestito dal mio compagno, Moussa – in un caffè letterario, e al centro della tavolata è seduto lo scrittore Matteo Cavezzali per la consueta cena africana in compagnia dell’autore con cui si è pensato di concludere gli incontri. Catalizza le attenzioni dei commensali senza sforzarsi troppo, Matteo: boccoli castani, sorriso luminoso e accento romagnolo glieli hanno donati natura e circostanze, mentre i simpatici aneddoti relativi al suo romanzo – come quello del sogno fatto a libro già consegnato all’editore che lo ha portato a stravolgerne il finale – deve averli raccontati talmente tante volte che gli sfuggono dalla bocca quasi automaticamente.

Racconta della fascinazione che prova per le paludi, come quella del delta del Po dove è ambientato il suo Il labirinto delle nebbie, perché “nelle paludi vivono individui bizzarri e accadono fatti contronatura, come il mare che rientra verso la terra e il fiore che si dimentica di essere nell’acqua salmastra e fiorisce lo stesso”. Per chi, nel maggio 2021, poche settimane prima che aprisse il Café Timbuktu, aveva ipotizzato che il centro storico di Perugia si sarebbe dotato di una nuova piazza per lo spaccio, per il sottinteso motivo che il gestore del bar sarebbe stato – ed è – un giovane ragazzo africano, dalla pelle nera e i dreads puntati minacciosi verso il cielo, anche il fatto che in questo bar circolino libri al posto di stupefacenti può sembrare contronatura. E invece TimBooks è stata concepita nel modo più naturale possibile, e il nome della rassegna ne è la prova. Era la fine della scorsa, torrida, estate: il tempo di un caffè o poco più, e Moussa, Giovanni Dozzini e io abbiamo messo sul tavolo le istanze di un bar che è perfetto per ospitare eventi culturali di questo tipo, sia idealmente ma anche, grazie agli ampi spazi interni, strutturalmente, e quelle di ‘Luoghi Comuni’, una rivista, e prima ancora un’associazione, che vuole raccontare una città in movimento ripulendo la narrazione dalle solite stanche voci incrostate tra i sassi dei corridoi dell’acropoli. Coinvolgere la libreria Mannaggia – libri da un altro mondo per la vendita delle copie durante gli incontri, poi, è stato il passo immediatamente successivo.

A ottobre, quindi, TimBooks ha preso il via. A inaugurarla una scrittrice working class mugellana, Simona Baldanzi, con il romanzo Se tornano le rane; poi, a novembre, Matteo Cavezzali con il suo noir ambientato nel primo dopoguerra; a metà dicembre, invece, il libro reportage Viaggio sul fiume mondo. Amazzonia di Angelo Ferracuti e Giovanni Marrozzini. L’iniziativa ha avuto da subito una buona risonanza, comparendo sulle pagine di diverse testate locali, e di volta in volta si è connotata come uno spazio in cui scrittori e pubblico si incontrano nel senso più vero della parola, e finita la presentazione le sedie tornano a definire, intorno al tavolo dove si mangia e si beve tutti insieme, uno spazio di scambio fluido e circolare. Con Simona si è parlato di lavoro, del senso di un outlet osservato dallo sguardo di tre generazioni di donne di una stessa famiglia, della necessità di capovolgere il senso di autobiografia all’italiana, perché un’autobiografia non si scrive per egocentrismo, ma per dare voce a una vita in quanto simile a molte altre; con Matteo ci siamo addentrati nella palude del delta del Po, nelle storie degli anarchici, “che sono quelli che volevano cambiare il mondo ma non ce l’hanno mai fatta”, e della Prima guerra mondiale, “quella guerra trattata come lavoro in cui affondano le radici profonde del fascismo”; infine, con Ferracuti abbiamo scavato dentro un mondo divenuto simbolo dello scontro di civiltà tra l’Occidente capitalistico e una delle ultime aree del pianeta tuttora, malgrado tutto, immacolata e primordiale, e poi ci siamo meravigliati con le fotografie di Marrozzini, che in bianco e nero descrivevano la bellezza di luoghi e popoli minacciati da compagnie petrolifere, gruppi paramilitari di estrema destra e fazendeiros deforestanti.

L’elemento che, del tutto casualmente, o magari non così tanto, ha tenuto allacciati tra di loro questi primi tre incontri della rassegna è l’acqua: l’acqua del fiume che, con le sue rane, attraversa la cittadella dell’outlet mugellano, “unica cosa reale di quel posto finto simbolo di lavoro precario e alienazione sociale”, le acque salmastre della palude del delta del Po, a cui oggi si preferisce il più confortante nome di valle, e infine le acque del fiume più grande del Pianeta, quello che Ferracuti e Marrozzini hanno risalito con il loro battello Amalassunta, da Manaus fino in Colombia, dando vita a un’impresa folle con cui hanno assecondato la loro “comune ossessione” per l’Amazzonia e conosciuto le genti che vivono nel cuore della selva. Ecco, credo che anche TimBooks sia partita un po’ come un fiumiciattolo che, fluendo adagio e sfidando le conseguenze di un’estate più secca del normale, si continua a ingrossare lentamente, di volta in volta alimentato dal lavoro di Giovanni Dozzini e di tutta la redazione di Luoghi Comuni nella promozione e nell’organizzazione degli incontri, su una sponda, e dalla capacità di Moussa di rendere speziata l’atmosfera, o di addolcirla con i suoi cocktail dal sapore di mango, sull’altra. Affluiscono a questo corso d’acqua, e di parole, le varie persone che da ottobre a oggi hanno messo a disposizione della rassegna le proprie competenze, come la grafica Valentina Bolognini per il logo, la giornalista freelance Giulia Zeno -incidentalmente, una mia cara amica – salita su un FlixBus da Napoli per dialogare con Simona Baldanzi, l’associazione Istanti- fotografia e cultura per l’organizzazione dell’incontro di dicembre. Poi ci sono gli autori, la loro voce a sedimento del fiume, e infine io, che faccio la spola tra una sponda e l’altra, a volte annaspando ma godendomi comunque – quasi sempre – la corrente.

TimBooks riparte questo giovedì 19 gennaio, alle 18.30, con Sandro Baldoni, regista, sceneggiatore e scrittore umbro, che presenterà Occhi selvaggi (e/o edizioni), romanzo di formazione ambientato in un paesino arroccato nelle montagne della Valnerina negli anni ’60, insieme a Marta Poli della redazione che dialogherà con lui e all’attrice Silvia Cohen che leggerà alcuni passi tratti dal libro. A febbraio sarà la volta di Per scaldarci noi (edizioniPIAGGE) di Valentina Mira, autrice di un romanzo d’esordio coraggioso come X (Fandango editore), su quella che lei definisce la “banalità dello stupro”; a marzo, poi, Espérance Hakuzwimana Ripanti, scrittrice e attivista italiana di origini ruandesi, presenterà il suo Tutta intera (Einaudi editore), un libro che “dà voce a tutte quelle persone che avevano un nome difficile, una pelle difficile, una storia difficile”. TimBooks, con le sue acque che smaltiscono i luoghi comuni, è solo all’inizio: seguiamone il corso e vediamo dove ci porterà.

Beatrice Depretis