La città del futuro va costruita.
In nome della sostenibilità e della lotta alle disuguaglianze
Il futuro è una dimensione che ha qualcosa in comune con la stella madre del sistema in cui gravitiamo: il sole. È di una forza d’attrazione enorme, ma è al tempo stesso letteralmente abbacinante. Si tenta di scrutarlo per indovinarlo, ma poi le cose succedono confermandoci molto spesso che eravamo rimasti abbagliati. Se proprio non si resiste alla tentazione di guardarci è consigliabile quindi farlo con una robusta dose di scetticismo. Allo stesso tempo però, rinunciare a prevederlo e a tentare di disegnarselo, il futuro, è una sorta di abdicazione a un pezzo del nostro essere umani.
Allora, come sarà la Perugia dei prossimi dieci anni, o come dovrebbe essere? Ci sono previsioni di istituti attendibili cui si può attingere, e ci sono obiettivi che ci siamo dati a livello planetario che possono guidarci per tentare di capirlo. Le previsioni sono quelle dell’Istituto nazionale di statistica, l’Istat, che ci dice che nel 2031 saremo di meno e mediamente un po’ più anziani e un po’ più soli. Le statistiche sperimentali dell’istituto prevedono che la popolazione residente sarà calata all’interno del comune di almeno un migliaio di persone. L’età media a livello regionale, e quindi anche nel capoluogo, sarà invece aumentata di un paio d’anni; oggi gira intorno ai 46 anni, sarà attorno ai 48 nel 2031. Del resto, le uniche fasce di popolazione che aumenteranno, saranno quelle che avranno un’età dai 55 anni in avanti. Non ci sono stime a livello comunale, ma la previsione è che, pure a fronte di una diminuzione complessiva delle persone residenti, aumenteranno invece di circa 14mila unità in regione gli uomini e le donne che vivranno da soli, e saranno quasi una persona su cinque.
Fin qui la statistica sperimentale, che è una scienza, anche se è piuttosto intuitivo che non possa essere esatta. Poi c’è l’altro elemento cui abbiamo accennato, gli obiettivi che ci siamo dati a livello planetario, che hanno una valenza temporale doppia: ci dicono cioè verso dove dovremmo camminare e ci offrono al tempo stesso una parabola di quello che abbiamo fatto fino a oggi.
I 193 Paesi aderenti all’Onu hanno sottoscritto nel 2015 l’Agenda 2030 che contiene 17 obiettivi da raggiungere entro la terza decade del secolo affinché lo sviluppo del pianeta assomigli a qualcosa di sostenibile. Alcuni degli obiettivi sono di scala troppo ampia per calarli a livello di comune, o anche di regione. Ne abbiamo scelti nove per aiutarci a capire a che punto siamo e cosa dovrebbe succedere affinché Perugia diventi una città un po’ più sostenibile nei prossimi anni. Alcune delle statistiche cui faremo riferimento non sono disponibili a livello comunale e sono su scala regionale e provinciale; vale la pena quindi di ricordare che il capoluogo ha dimensioni che pesano per il 19 per cento a livello umbro e per il 25 per cento a livello provinciale, e quindi non è peregrino assumerle come tendenze anche locali, nel nostro caso.
Il primo obiettivo dell’Agenda è quello di sconfiggere la povertà, e c’è da fare. In Umbria quasi tredici persone su cento vivono in stato di povertà, e la tendenza è in costante aumento negli ultimi anni. Le famiglie povere sono invece poco meno di una su dieci. Segno che la povertà minaccia nuclei numerosi, e infatti l’Istat rileva che un terzo delle famiglie povere ha tre minori al suo interno. Se ne deduce che la povertà colpisce molti bambini e bambine, una caratteristica che dovrebbe portare a una accelerazione nella adozione di misure di lenimento e contrasto. I dati della Caritas confermano l’allargamento della macchia della povertà in maniera più circostanziata territorialmente: dal 2016 al 2021 gli utenti che si sono rivolti agli sportelli della Diocesi Perugia-Città della Pieve sono aumentati del 40 per cento, e qui si provvede all’erogazione di beni materiali, all’aiuto nel pagamento delle bollette, alla distribuzione di farmaci e pure a visite mediche gratuite. Si tratta di attività fondamentali, il che però non può fornire alibi per un intervento pubblico serio e coordinato: se i poveri fossero un partito, sarebbero la terza o la quarta forza in Parlamento, una consistenza che denota un fenomeno troppo importante per essere lasciato in secondo piano.
L’obiettivo 3 dell’Agenda 2030 è quello di “assicurare salute e benessere per tutte le età”. In questo senso sono stati fatti dei passi avanti, poiché l’incidenza degli umbri in buona salute è salita dal 67 al 70 per cento negli ultimi dieci anni. Anche in questo caso però i dati custodiscono indicazioni per la politica, perché è salita anche la percentuale delle persone che assumono farmaci, segno che la prevenzione rimane un campo da coltivare. Ma c’è di più: l’incidenza delle persone in buona salute è più alta tra chi ha un lavoro rispetto a chi lo cerca. È un sintomo della necessità di una sanità universale, pubblica e tendenzialmente gratuita, se si vuole assicurare la salute a tutti.
L’obiettivo 4 è quello di fornire “un’educazione di qualità, equa e inclusiva” con “opportunità di apprendimento per tutti”. Però in un quarto delle scuole della provincia di Perugia, principalmente le primarie e le secondarie di secondo grado, nel 2020, mancavano postazioni informatiche adattate per studenti con disabilità; nel 40 per cento degli istituti non c’erano rampe di accesso per abbattere le barriere architettoniche; nel 14 per cento delle scuole mancavano servizi a norma per persone con disabilità; e sono inoltre quasi del tutto assenti percorsi tattili e mappe a rilievo per non vedenti e segnali acustico e/o visivi.
L’obiettivo 5 è quello di “raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”. Nella provincia di Perugia la retribuzione media oraria per le donne nelle imprese private è di 10,69 euro/ora, per gli uomini di 11,43. Elisabetta Tondini, ricercatrice dell’Agenzia Umbria ricerche (Aur), in un articolo pubblicato il 7 marzo di quest’anno, titolato significativamente Donne e lavoro, una strada in salita, rilevava che “tra le lavoratrici il part-time è molto più diffuso (in Umbria riguarda il 35,6 per cento delle dipendenti, a fronte del 9,7 per cento degli uomini), anche in riferimento a quello involontario (rispettivamente 23,3 per cento contro 5,8 per cento). Per di più, è inferiore anche il numero medio annuo di settimane lavorate (39,2 contro 42,2). E minore presenza significa retribuzioni più basse”.
L’obiettivo 6 è di “garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie”. I dati riferiti da Open Polis dicono che nel 2015 la percentuale di acqua dispersa nella rete degli acquedotti della regione era del 46,8 per cento: praticamente un litro ogni due. E in questa, che è la quinta regione per prelievo di acque minerali (1,3 milioni di metri cubi nel 2018), il 34 per cento delle famiglie dichiara di non fidarsi a bere acqua del rubinetto (quinta regione in Italia). Un paradosso che ha poco di sostenibile, considerando che chi compra acqua minerale spende in media 150 euro l’anno per una risorsa che sgorga dal rubinetto e di cui invece si approvvigiona in bottiglie di plastica che vanno a cumularsi nelle discariche.
L’obiettivo 7 dell’Agenda punta ad “assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni”. L’intensità energetica media del Pil italiano è calcolata in 91,3 tep (tonnellate equivalenti di petrolio) per ogni milione prodotto. L’intensità energetica dell’Umbria è di 93,6 tep. Questo significa che a parità di ricchezza prodotta, l’Umbria consuma mediamente più energia. È la stessa regione in cui si producono appena 0,6 Terawatt l’anno di energia attraverso l’esposizione dei pannelli fotovoltaici: le confinanti Marche ne producono più del doppio (1,4 TW), l’Abruzzo idem, e la Campania cinque volte tanto; anche il Molise, con una superficie che è metà di quella dell’Umbria, riesce a fare meglio.
L’obiettivo 8 spinge a “incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti”. Dal 2011 al 2020 le persone in cerca di occupazione sono salite da 21 a 25mila in provincia di Perugia. E nello stesso periodo gli occupati in Umbria sono saliti da 263mila a 267, ma di questi 4mila, 3mila sono a tempo determinato, cioè precari.
L’obiettivo 10 dell’Agenda affronta la questione della disuguaglianza, invitando a ridurla. Se si confrontano le dichiarazioni dei redditi presentate a Perugia del 2012 e nel 2020 se ne ricava che i redditi detenuti dalla fascia più ricca, dai 120mila euro in su, sono aumentati del 18 per cento, mentre quelli detenuti dalla fascia più povera, dai 10mila euro in giù, sono diminuiti del 13 per cento. Se si spalma il montante delle rispettive fasce di reddito per il numero di contribuenti, si nota che la parte dei contribuenti meno abbienti si è impoverita negli anni del 7 per cento, mentre quella della fascia alta ha visto sì assottigliarsi i redditi, ma limitatamente a un 5 per cento. Tradotto: la forbice tra ricchi e poveri si è allargata.
L’ultimo obiettivo che portiamo all’attenzione in questa carrellata è quello che punta a “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, ed è come chiudere il cerchio che abbiamo iniziato a disegnare con la povertà, perché dal 2011 al 2020 è più che raddoppiata in Umbria l’incidenza di famiglie che vivono in strutture danneggiate (dal 7 al 15%).
La Perugia e l’Umbria del futuro insomma potrebbero (dovrebbero) diventare più inclusive, meno diseguali, curare gli squilibri di genere, imboccare con forza la strada della sostenibilità. Dovrebbero cioè allargare la sfera dell’intervento pubblico in favore di tutta una serie di categorie che da sole non ce la fanno. Ciò in un quadro di presunta crescente vulnerabilità della popolazione, che si farà più anziana e forse anche più sola. Ecco, non si tratta di prevederlo il futuro, ma di costruirlo.
Articolo di Fabrizio Marcucci