Il Fotomatòn del Coniglio

Il Fotomatòn del Coniglio

Le meraviglie stenopeiche di Francesco Capponi
La bottega “Braccia rubate” è stata una delle prime a inaugurare la nuova stagione del quartiere di via della Viola e via Cartolari, circa due anni fa. Al suo interno, una sorta di museo dell’entropia, dove ogni manufatto è riconducibile a una memoria personale, quella degli artisti che hanno partecipato alla realizzazione dei reperti artistici, di ogni genere e materiale. L’insegna di questo laboratorio sperimentale, aperto da Francesco Capponi e Chiara Dionigi, è provocatoria e ridanciana. «“Braccia rubate”… Ovviamente all’agricoltura! Beh, ci rappresentava abbastanza», esclama Francesco, con un sorriso.

I suoi studi all’Accademia delle belle arti lo hanno condotto ad appassionarsi alla scultura, per poi deviare verso la fotografia, in un cammino del tutto inventivo: «Ho iniziato a inserire lenti negli oggetti che creavo, per poi utilizzare essi stessi come camere oscure. La fotografia l’ho sempre presa da lati strani, quella “normale” mi ha sempre bloccato un po’. Diciamo che giocare con la fotografia per me significa uscire dalla seconda dimensione, per entrare nella terza». La maggior parte dei lavori di Francesco rimanda alla fotografia stenopeica, basata sul principio ottico della camera oscura.

Se s’ignora quel passaggio dalla scultura alla tecnica fotografica, riesce difficile comprendere alcune opere, veri e propri apparecchi a foro stenopeico ricavati dagli oggetti più inaspettati, ready-made tramutati in oggetti tecnologici: dall’Abracadabra pinhole camera, il cilindro di stoffa che riprende conigli, a chees-man, la pedina fotografica atta a riprendere gli altri pezzi della scacchiera dal proprio punto di vista, per arrivare al pinholo, il pinolo che diventa una pinhole camera organica. È tutto un gioco di assonanze tra il poetico e l’ironico, di rimandi non metaforici alla realtà delle cose. 
«È l’oggetto che sceglie cosa raccontarmi, come il cilindro ha scelto il coniglio. In un uovo cosa puoi mettere? Un embrione, una piccola persona dentro il suo guscio». Francesco, infatti, ha creato delle “uova stenopeiche”, catturando l’immagine sulla superficie interna del guscio, così come ha rispolverato i principi della chimica ottocentesca per ricreare delle emulsioni fotosensibili a base di collodio, etere e nitrato d’argento, per impressionare il metallo di piccole scatoline in cui ha ritratto dei soggetti (quasi tutti membri dell’associazione).Altro frutto di questa continua sperimentazione è il foto-circo Pogovic, creato insieme a Francesco Biccheri: «Il nome deriva dalla Pogo della Polaroid, una macchina che stampa su una carta termo-reattiva. Abbiamo provato a vedere che succedeva interagendo con questo supporto, scoprendo che scartavetrandolo ingialliva, che bruciandolo col pirografo diventava nero, trattandolo con l’acqua blu». Questo circo itinerante si è esibito per la prima volta al festival della fotografia di Savignano sul Rubicone: accompagnato dalla musica balcanica, il carrettino del Pogovic continua tutt’oggi, per diversi eventi, a mascherare i passanti e a fotografarli, rielaborando lo scatto con gli utensili che li tramutano in immagini pop.

L’ultimo progetto a cui ha lavorato Francesco è una bicicletta d’artista, eseguita per l’azienda Olmo: «Sono stato chiamato insieme ad altri artisti a creare un prototipo unico, da personalizzare secondo il proprio stile. La mia idea originaria era creare una bicicletta “street view”: trattata con un’emulsione, quest’ultima avrebbe dovuto catturare diversi scorci di Perugia. Il progetto era complicatissimo, e il fatto che abbia preso a diluviare mi ha aiutato ad accantonarlo!».
Il prodotto finale, però, è il risultato di un procedimento altrettanto complesso: «Ho verniciato il telaio con un’emulsione fotografica liquida, proiettandovi l’immagine di alcuni pezzi di pellicola cinematografica che riprendevano il countdown dei vecchi film. Questa sfilza di “5” – indica uno scampolo di pellicola – è un secondo, quindi è una sorta di rappresentazione del tempo, e la bicicletta è legata al tempo, visto che si muove nello spazio». Il telaio, che Francesco ha letteralmente dovuto sviluppare come fosse un rullino, è stato inviato a Milano, dove verrà esposto nel negozio dell’azienda. 
 
L’artista è entusiasta del progetto di Fiorivano le viole: «L’associazione ha dimostrato di approcciare le cose in modo diverso. La via aveva problemi di spaccio e di spopolamento, la gente la evitava, mentre adesso fanno il giro apposta per passarci. Si è creata una comunità e si è ricreato lo spirito, ma la cosa più importante è che il degrado è sparito: basta rioccupare positivamente gli spazi della città».

Testo di Ivana Finocchiaro