Quell’obiettivo opaco

Quell'obiettivo opaco

Gli scatti di Francesca Boccabella raccontano gli spigoli della società
Gli occhi del Drago. È il libro di Stephen King che mi viene in mente nel bel mezzo di una conversazione con Francesca Boccabella, fotografa e studentessa della facoltà di Relazioni internazionali. Nel libro si parla del potere dell’opacità. Non dell’invisibilità, che è ben diversa, ma dell’opacità: quel potere che possiamo sviluppare per essere presenti passando inosservati, partecipi ma non percepiti. Mentre mi mostra i suoi lavori, mi rendo conto che ci sono tante fotografie che mi riportano a momenti che anch’io ho vissuto, contemporaneamente al suo sguardo. Lo dimostra una foto dell’anno scorso scattata durante Alchemika, quando un artista di strada esibizionista e perturbato durante la sua performance si apriva la giacca e io mi coprivo gli occhi per non vedere le sue nudità.

Le foto di Francesca raccontano scene molto naturali, e questo potere, il potere dell’opacità, le appartiene. Una qualità che permette al fotografo di raccontare la quotidianità, senza dover lavorare la scena e i suoi protagonisti, senza ricercare l’esibizionismo ma la spontaneità, senza imporre il disagio della presenza di un obiettivo. «È questa la mia intenzione: raccontare le cose con naturalezza; quello che più mi piace fotografare sono le emozioni, l’interazione tra persone, le diversità culturali», dice lei.

Il nostro interesse per la sua fotografia è iniziato con Fermata a km0, una mostra organizzata durante Umbria Grida Terra. «Il km0 è il senso del viaggio, il viaggio che fai attraverso un pasto, che vivi con la mente. Nelle mie fotografie parlo di viaggi in tutte le loro sfaccettature. Il contatto con le persone, l’essere vicini, sia con l’anima che con il corpo, scoprire le proprie radici e il contatto umano. La mostra Fermata a km0 voleva porre l’attenzione sul fare rete, come meccanismo utile e necessario soprattutto in questo periodo storico, economico e sociale». «Quello che mi interessa», continua, «è l’ambito sociale. Unire fattori economici e antropologici ai momenti che decido di raccontare. L’ultima raccolta che ho fatto è Proud to be, presentata al workshop di Vittore Buzzi al Perugia Social Photo Fest dell’anno scorso. Racconta una giornata di festeggiamenti del movimento afroamericano che si svolge ad Harlem. Una parata per l’integrazione, per commemorare le radici afroamericane».

Francesca partecipa spesso ai laboratori e ai mercatini del baratto organizzati dalle instancabili Riciclamiche (gruppo ormai rinomato che ha come obiettivo incentivare un circuito per lo scambio equo e solidale di beni e servizi che non contempli il ricorso al denaro, una rete perugina che sia un modo per fare solidarietà a Km0, integrazione e intercultura), è inoltre membro della Rete al femminile. La Rete al femminile vede la partecipazione di circa cinquanta donne imprenditrici dell’Umbria, uno spazio finalizzato allo scambio di competenze e alla promozione delle proprie attività.

La conversazione con Francesca avviene nel suo piccolo studio di Ponte San Giovanni, ancora senza nessuna targa all’esterno, quasi anonimo. All’interno varie foto appese alle pareti e su uno scaffale, una piccola scrivania e tutto l’occorrente per un set fotografico, e una parete riflettente composta da tetra-pack opera delle Riciclamiche. Qua e là ci sono vari libri di grandi fotografi e tra tutti troviamo Africa di Sebastião Salgado. Guardando in alto, una fotografia appesa al muro cattura la mia attenzione: «Questa è una foto selezionata in un concorso fotografico internazionale sui diritti umani. Farà parte di una mostra che si chiama Leggi(t)timiamo, all’interno della settimana nazionale Nati per leggere. Il tema è il diritto allo studio e il diritto alla conoscenza per i bambini».

Se avete bisogno di una brava fotografa potete recarvi in via Mario Bochi 44, Ponte san Giovanni.

Testo di David Montiel

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