REALTÀ ALTERATA E IPERREALTÀ

Foto di Francesco Capponi

REALTÀ ALTERATA E IPERREALTÀ

Le mutevoli visioni dell’obiettivo di Attilio Brancaccio

Lo studio Oko ha aperto i battenti in via Cartolari da meno di un anno. È uno spazio ampio, costellato da proiettori, sezionato da superfici in bianco e nero. Attilio Brancaccio, il suo fondatore, si è avvicinato alla fotografia quasi per caso: «Fino a dieci anni fa, se mi avessero detto che avrei lavorato in quest’ambito avrei risposto “Non credo proprio”». In quel periodo suonava in un gruppo reggae e lavorava per delle agenzie pubblicitarie: «Ho preso in mano la macchina fotografica perché volevo creare delle immagini mie, originali. Ho cominciato scattando fotografie durante i concerti e ho visto che non solo piacevano sia a me che agli altri, ma che mi piaceva farle. In quel momento ho deciso di andare a fondo con la fotografia».

La sua sperimentazione in quest’ambito si è svolta inizialmente su ogni fronte: «Al principio fotografavo di tutto, per apprendere le tecniche e per capire quale soggetto preferissi. Dal 2003 al 2009 ho viaggiato parecchio, affrontando il lato “reportagistico” della fotografia tra New York, Hong Kong, Berlino, Londra. Poi ho deciso di andare a vivere ad Amsterdam perché ho capito che era un’occasione per concentrarmi su me stesso, sulle mie passioni, ma anche sulle tecniche relative allo studio di posa». Nel 2007, infatti, Attilio ha attraversato l’Europa in tre mesi, sostando per un po’ anche nella città olandese: «Era quello che sognavo, così in un mese ho salutato tutti e sono andato a vivere lì, in una casa per artisti nel quartiere nord di Amsterdam. Lì ho avuto modo di attivarmi in tantissimi ambiti, dai festival alle produzioni cinematografiche, dalla fotografia di moda ai ritratti».

Paradossalmente, fermarsi ha significato approcciare l’universo delle foto di posa. Le sue sono immagini molto contrastate, che fissano la diversa grana dell’epidermide, percorrendo le superfici dei volti e condensando il racconto in uno sguardo. Siano i soggetti fotomodelle, barboni, artisti, trans-gender, gli occhi fissano l’obiettivo e delineano una sensazione di trasgressione o innocenza. «Della fotografia mi piaceva il fatto di riuscire a esprimere delle idee, a fermare ciò che vedevo, naturalmente dal mio punto di vista. Non sono dei lavori concettuali, è un discorso di getto su un aspetto che mi affascina. Per fotografare le persone, sia per strada che in studio, per me è importante creare un rapporto, aldilà di quello esistente tra fotografo e soggetto-modello. Mi piace cercare di cogliere nella fotografia quegli aspetti delle persone che a prima vista non vedi, quelli dietro il “primo livello”».

Alcune delle immagini di Attilio si basano sull’alterazione dell’immagine fotografica, ottenuta sia in digitale che nella camera oscura: «Ho cercato di trovare un qualcosa che potesse rappresentarmi e ho tratto spunto dall’opera di Man Ray, utilizzando il principio del fotogramma – ovvero l’esposizione degli oggetti, posti a contatto con la carta fotosensibile – per creare qualcosa che non avevo ancora visto. Dopo diverso tempo, sono arrivato all’idea giusta e ho creato la serie Cosmos, dei fotogrammi realizzati con le bolle di sapone. Poi c’è stato un nuovo punto di rottura, ho dovuto ripensare a come utilizzare la camera oscura in modo innovativo e ho creato una serie di ritratti, Brushes: in fase di stampa, invece di immergere il foglio nell’acido dello sviluppo, ho preso a spennellarlo direttamente sulla carta».

In Cosmos, microparticelle di sapone si tramutano in asteroidi lattiginosi, suggerendo un’atmosfera silenziosa; nella seconda serie, invece, l’effetto inatteso è determinato dall’impressione che le figure emergano dalla carta, fantasmatiche, attraverso le traiettorie dinamiche e rivelatrici del pennello. Attilio è tornato a vivere a Perugia a fine gennaio 2014: «Volevo provare a promuovere delle iniziative nel mio Paese mettendo a disposizione la mia professionalità, come avevo fatto all’estero. Avevo saputo, tra l’altro, che era nata l’associazione Fiorivano le viole, di cui facevano parte persone che conoscevo o stimavo da un punto di vista artistico. Sicuramente ho fatto una scelta giusta, è stato un arricchimento».

Negli ultimi numeri di «Luoghi Comuni» le fotografie di Attilio hanno ritratto alcuni artisti dell’associazione: «Dopo aver conosciuto meglio i protagonisti di questa realtà m’è venuto spontaneo volerli fotografare anche perché – aggiunge, ridendo – sono dei gran personaggi, oltre che delle grandi persone. La foto nasce dalla visione che io ho di loro, ma cerco anche di catturare la passione che loro mettono in quello che fanno».

Testo di Ivana Finocchiaro