I colori e le parole

Nei parchi perugini spuntano le Panchine letterarie

È un tiepido pomeriggio di inizio settembre quando, munita di macchina fotografica e di quella curiosità distesa di quando le esplorazioni si spingono poco più in là dei confini della mia comfort zone, mi aggiro per alcuni parchi perugini per catturare qualche immagine che racconti il progetto delle Panchine letterarie. Su una panchina verniciata di giallo del parco del Bellocchio conosco John, venticinquenne nigeriano che, dopo avermi negato la possibilità di fotografarlo, mi chiede di tradurgli la frase virgolettata che gli fa da schienale. La frase è “Il divertimento è una cosa seria”, tratta dal Brano agli studenti di Pesaro di Italo Calvino; non so se Calvino avrebbe approvato la traduzione che ho azzardato per John, ma lui ha mostrato con una sottile risata di condividere l’idea dello scrittore.

John mi ha instillato il sospetto che le frasi scelte per le Panchine letterarie che contribuiranno, nell’ambito del progetto Regeneration Center, alla riqualificazione di alcuni parchi dei quartieri Fontivegge, Bellocchio e Madonna Alta, potrebbero in futuro essere tradotte in più lingue, e rese quindi comprensibili per quella buona parte di residenti che quotidianamente si siedono su quelle panchine ma non altrettanto di frequente parlano l’italiano.

A dare impulso al progetto è stata l’attività dei portieri di quartiere junior che da gennaio 2021 affiancano i loro analoghi senior mettendo al servizio delle comunità dei quartieri di riferimento le loro competenze, la loro creatività, la loro energia. Hanno scelto loro – sempre sotto la supervisione dei portieri senior e, in alcuni casi, in sinergia con altre associazioni – i colori di cui le panchine si sarebbero vestite, le frasi che avrebbero ospitato o le opere d’arte che avrebbero evocato. E, tanto che c’erano, hanno messo le loro doti artistiche al servizio delle disposizioni del Comune e della sua campagna di sensibilizzazione nei confronti della violenza sulle donne, tinteggiando in ciascuno dei cinque parchi interessati dal progetto (Bellocchio, Toti, Piazza del Bacio, Pescaia e Diaz – quest’ultimo non ancora iniziato) una panchina di rosso, colore divenuto simbolo di resistenza contro la violenza di genere. Il mio tour parte dal parco del Bellocchio; poche postazioni più in là rispetto a dove siede John, noto la panchina apripista del progetto, quella che, realizzata pochi giorni dopo la morte di Gino Strada, grida con un’intensità ancora maggiore rispetto a quella del giallo che le fa da sfondo che “le guerre appaiono inevitabili, lo appaiono sempre quando per anni non si è fatto nulla per evitarle”. Il vigore di questa verità enunciata dal fondatore di Emergency viene quindi attutito dalla delicatezza del verde pallido che tinge le panchine che circondano la piccola rotonda al centro del parco.

Da Fontivegge mi dirigo verso Madonna Alta, e in via Toti faccio la conoscenza di un piccolo parco che, intimamente racchiuso tra i palazzi della via, si mostra con una veste completamente diversa rispetto a quello del Bellocchio. Verniciano le panchine (gialle e turchesi, oltre alla singola panchina rossa) le mani volenterose degli operatori del progetto ma anche di Tullia, Arianna e altri cittadini che, venuti a conoscenza dell’iniziativa tramite i social, si lasciano attrarre dall’idea di diventare parte attiva della riqualificazione. Qui incontro Moreno Giappesi, portiere di quartiere senior, e mi lascio coinvolgere dall’entusiasmo con cui mi parla del progetto. “L’idea iniziale – spiega – era quella di verniciare le panchine dei parchi con delle bandiere. Non bandiere scelte a caso, ma selezionate sulla base di una mappatura sociale che avevamo realizzato nei quartieri: avremmo disegnato le bandiere dei Paesi più rappresentati in base all’origine dei residenti”. Al Comune è sembrato, però, che la scelta delle frasi letterarie fosse meno rischiosa in termini di equità; ecco allora che al parco di via Toti prendono forma le speranze di William Shakespeare (“Non ogni nube porta tempesta”), la saggezza di Cesare Pavese (“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”) e, sul tavolo giallo, l’invito al gioco con la scacchiera e la griglia da tris autografate dall’hashtag #portieridiquartiere.

Risalgo quindi verso Fontivegge, e approfitto per dare una sbirciata furtiva alle panchine artistiche di piazza del Bacio, dove gli schizzi colorati su base bianca ispirati all’opera del pittore statunitense Jackson Pollock si adeguano magistralmente all’atmosfera underground dettata dall’adiacente skate park.

Sono quasi al termine del mio tour quando mi addentro nel parco della Pescaia dall’ingresso di via Busti e, mentre percorro il viale alberato, mi chiedo quale sorte mi toccherà. La combinazione della conformazione del parco strutturato su più livelli e della ricorrenza del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, infatti, non poteva che risultare nella celebrazione del Sommo Poeta con la trasformazione dei tre piani del parco interessati dal progetto in Inferno, Purgatorio e Paradiso danteschi. “Il parco della Pescaia rappresenta, in un certo senso, l’epicentro del progetto delle panchine letterarie – dice Giappesi -, anche perché per riqualificarlo stiamo collaborando con diverse associazioni del territorio, tra cui Profumo dei Tigli e Ada, oltre che con la biblioteca Villa Urbani, che ci ha orientato nella scelta del tema letterario e nella selezione delle frasi, e con la cooperativa sociale B Labor per gli aspetti tecnici di rimessa a nuovo delle panchine”.

Mentre gli operai di B Labor dismettono le panchine per ricollocarle al loro posto, trave per trave, dopo diverse mani di scartavetratura, più in basso iniziano i lavori di verniciatura di tavoli e panchine in un Inferno dei giorni d’oggi che forse pochi si sarebbero immaginati colorato di un viola tendente al fucsia.

Nel frattempo, da quello che, tinto di lilla, diventerà il Purgatorio del parco della Pescaia, compare Lidia; classe 1926, si avvicina a passo lento dettando decisa il ritmo al bastone che la accompagna. È incuriosita dal laborioso fermento di questo Inferno, e ci racconta un po’ della sua storia. “Tanti anni fa, nelle sere d’estate, venivamo con mio marito e diversi amici a mangiare l’anguria e a prendere il fresco. Si stava bene, – prosegue – poi abbiamo smesso di frequentare il parco perché purtroppo, soprattutto di sera, non era più vivibile come una volta”. L’estate è finita e per l’anguria della signora Lidia se ne riparlerà tra un anno, quando lei e gli altri frequentatori del parco si saranno forse abituati al rinnovato e attraente volto che Regeneration Center ha pensato per tavoli e panchine, con l’idea che la ricercatezza estetica dei luoghi non si traduca solo nell’intuitivo incentivo a viverli ma inneschi anche, forse, un implicito patto comunitario di cura degli spazi pubblici e partecipazione.