Gli spazi della fiducia

Ponte della Pietra ha un Portiere di quartiere. Ora tutti si devono mettere in gioco

Per chi conosce Perugia, questa è una delle classiche mattine dicembrine, la nebbia aleggia sopra i palazzi della periferia e l’aria pungente penetra sotto i vestiti. Parcheggio con l’auto in prossimità del cva della Piroga a Ponte della Pietra e attendo l’arrivo degli altri. Oggi si terrà una delle riunioni di coordinamento per il sostegno alla rete del territorio, che già da qualche mese si svolgono nel quartiere; sono una serie di appuntamenti che tessono le fila di un percorso complesso, in cui si cerca di analizzare il contesto sociale e promuovere idee volte alla riqualificazione. Gli incontri fanno parte di Agenda Urbana 21, il programma d’azione internazionale che ha l’obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile e la partecipazione dei cittadini. 

Al tavolo partecipano l’Asse 1 e l’Asse 3, realtà che si occupano dell’aspetto educativo e di quello legato ai temi della partecipazione. Per il Consorzio Auriga – e questo è l’Asse 1 – partecipano Cristiano Schiavolini, Nicoletta Germani del Gat (l’educativa di strada), Andrea Mattiucci e Giovanna Marasco. Per l’Asse 3, la cui azione è incentrata sulla gestione condivisa dei beni comuni, troviamo invece Moreno Giappesi e Stefano Santaniello di Borgo Rete e Liramalala Rakotobe Andriamaro, dell’associazione Labsus. Poi alcuni esponenti del territorio, come Maimuna Abdel Qader, figlia dell’ex Imam del centro islamico di via Settevalli, che rappresenta la comunità islamica, e Antonello Chianella dell’associazione Felicittà. Queste realtà diverse tendono insieme a un unico obiettivo condiviso, ovvero quello di risanare la condizione di degrado che caratterizza ormai da molto tempo la zona di Ponte della Pietra, cercando di diffondere la cultura della partecipazione tra gli abitanti, che a oggi purtroppo faticano a riconoscersi in una comunità coesa. 

A questo punto del percorso è stato da tutti considerato necessario individuare una persona di riferimento destinata a rivestire un ruolo abbastanza complesso, quello del Portiere di quartiere. Abbiamo già precedentemente parlato di questa figura strategica. A Madonna Alta e Fontivegge, per esempio, negli ultimi anni sono stati attivi – con una veste in parte differente rispetto ai tre previsti da Agenda Urbana – quelli del progetto Regeneration Center, che hanno dato un contributo concreto per canalizzare le energie delle comunità locali, creando reti di solidarietà e partecipazione in contesti in cui, nel tempo, è venuta a crescere una condizione di malessere sociale e urbano.

Il cielo plumbeo fa da sfondo alla molteplicità di complessi popolari che si ergono austeri, quasi a inglobare il parco della Piroga, avvolto dalla nebbia invernale. Mi viene da pensare che pur essendo nata e cresciuta a Perugia non ero mai venuta a conoscenza di quest’area verde. Dopo qualche minuto di attesa arriva Aziz, l’attuale gestore del cva della Piroga, conosciuto da tutti nella zona. Mi riferiscono che è stato coinvolto fin dall’inizio del processo e ha dimostrato un sentito interesse per il futuro di questo quartiere,  “il suo quartiere”, per cui nel suo piccolo sente di dover fare qualcosa.

Le riunioni sono iniziate a fine settembre, coinvolgendo gli stakeholder con le competenze e l’esperienza necessarie a una lettura socio-spaziale realistica del contesto. Il 10 dicembre è stato poi svolto un laboratorio di comunità che ha portato a individuare dei beni comuni nel quartiere, come lo stesso parco della Piroga, da poter poi gestire attraverso i Patti di Collaborazione; si potranno così restituire alla cittadinanza dei luoghi fruibili e migliori che dovranno divenire oggetto di cura per la popolazione.

Una delle problematiche che sono state individuate è proprio la mancanza di cura degli spazi che, come ci suggerirebbe de Certeau nel libro L’invenzione del quotidiano, non essendo realmente vissuti si svuotano di un senso di appartenenza che li renderebbe dei luoghi con un significato. Le annose mancanze delle amministrazioni locali si fondono con quelle delle persone che ci vivono, che come afferma Aziz “vengono una volta alle iniziative e poi smettono di presentarsi. Qui serve la buona volontà delle persone, perché tutti chiedono, tutti si lamentano ma dopo aspettano che l’aiuto arrivi da qualcun altro”.

La criticità sta proprio nella tendenza a delegare senza mai mettersi in discussione e purtroppo oggi sembra esserci una stanchezza generale nel portare avanti le iniziative sul territorio. Come ci spiega Lira che svolge il ruolo di tutor per Labsus “molte richieste fatte in passato non sono state ascoltate. Ora c’è la necessità di dare risposte concrete e, soprattutto quando la domanda arriva ‘dal basso’, si può partire anche da piccoli interventi che possono però ridare la fiducia”.

Per questo la possibile soluzione viene identificata nella figura del Portiere di quartiere che, come suggerisce Moreno Giampesi, portiere senior di Regeneration Center e attuale responsabile della formazione, “dovrà conoscere bene il territorio e le situazioni poiché sarà un vero e proprio attivatore della comunità, con lo scopo di semplificare anche la gestione della quotidianità”.

Questa figura polivalente si interfaccerà con una realtà complessa, poiché nel quartiere coesistono comunità diverse e tra loro diffidenti. Lo spiega molto chiaramente Maimuna, già impegnata in molte iniziative di carattere sociale anche con i Giovani musulmani d’Italia: “Essendo questo un quartiere diversificato, ognuno sente il bisogno di far conoscere agli altri il suo mondo, la sua diversità e condividerla. Dovremmo puntare sulla multiculturalità, considerandola più come una risorsa che che come un problema. Dobbiamo puntare a un obiettivo condiviso, a un interesse forte comune a tutti”. Sarà quindi sicuramente necessario lavorare anche sui processi d’integrazione e il Portiere servirà a creare un punto di convergenza. Ma chi potrebbe mai ricoprire questo difficile ruolo? Una persona affidabile e con una visione comune alla mission del progetto, una persona che conosca il quartiere e le sue problematiche. Mentre il confronto di idee si anima, durante la discussione si alza una voce nella sala. “Ma se proponessimo proprio Aziz?”.

Tutti i partecipanti si guardano per un momento negli occhi, per pochi secondi cala il silenzio e tutti si girano a guardare Abdel Aziz Lahrech, che è seduto dietro di noi e ci guarda con l’espressione di chi forse è stato colto alla sprovvista. La risposta arriva in maniera quasi corale, come se la soluzione fosse stata sempre davanti ai loro occhi. Effettivamente la sua figura è perfettamente coerente, anche per aver partecipato a tutto il resto del percorso svolto fino a oggi. Tutti sono d’accordo e la cosa curiosa è che questa scelta è avvenuta senza bisogno di discutere, spontanea e per acclamazione. Aziz si prende un secondo, poi annuisce e si capisce che anche lui forse aveva sempre saputo di poter essere la persona giusta, perché ha iniziato a voler dare il suo contributo a questa comunità già da molto prima di oggi.

Articolo di Ilaria Montanucci

Foto di Francesca Boccabella