CARTOGRAFIE PURE E GEOMETRIE DISABITATE
Lab52, l'arte sintetica di Simone di StefanoNell’ottobre 2014, dopo quindici anni di frequentazione della pittura, Simone di Stefano ha inaugurato il suo atelier, Lab52, in via Alessi. Dopo essersi laureato all’Accademia di Belle Arti di Bologna è arrivato a Perugia nel 2008, svolgendo diversi tipi di lavori: «Durante gli studi avevo lavorato nei ristoranti, e così una volta qui ho continuato a fare il cuoco. Successivamente, vista la mia passione per il cinema, ho trascorso un anno e mezzo allo Zenith come proiezionista. Un lavoro bello, poetico». Poi, due anni fa, Simone si offrì come volontario per montare le luci di Natale in via della Viola e ha conosciuto alcuni membri di Fiorivano le viole: «Mi ha colpito il disegno che stava dietro le iniziative dell’associazione, e così ho iniziato a cercare uno spazio tutto per me, finché non ho avuto la fortuna di trovare questo. Il primo anno è stato un cantiere aperto, perché ho dovuto trasformarlo in una bottega con il minimo della spesa, usando materiali di recupero».
Il Lab52 è un piccolo antro dal soffitto a volta, ben illuminato, completamente pannellato da opere in posizioni precarie; uno spazio sezionato da schemi lineari e moduli colorati, attraversato dall’odore di vernice fresca e dal jazz dello stereo acceso. Simone spiega che la serie di opere affastellate nel piccolo vano (circa una cinquantina) verrà esposta dal 16 maggio nello Spazio Arte del mobilificio Mandarini Arredamenti, a Torgiano: «La mia formazione da grafico “vecchio stile”, armato di compasso e squadra, emerge quando affronto il problema della geometria, per me fondamentale. In tal senso Perugia è molto stimolante: qui c’è un rapporto non paritario tra il luogo e chi lo percorre, che si sente sempre incastrato e piccolo. Quando cammino io guardo parecchio le altezze e avverto tutto il peso dei palazzi addosso, quindi questo senso di oppressione è diventato un problema formale della mia arte. Lo affronto con soluzioni differenti, come aprendo la prospettiva o rendendo lo spazio predominante, l’ossigeno assente, la luce fioca».
I quadri di Simone sono visualizzazioni di universi immaginari, scarnificati dall’inessenziale e dal referente reale; vi risiedono proporzioni dai parametri incalcolabili e geometrie silenziose, che tramutano i grattacieli in crepitanti segmenti di vernice: «Presto mi sono reso conto che il primo problema della mia pittura è la prospettiva e il numero degli orizzonti, che nella mia testa sono molteplici, non fisici. Il calcolo delle dimensioni è un’altra delle questioni che affronto costantemente: in questi quadri non esiste proporzione, perché non c’è l’“uomo”. In alcuni casi si tratta di quadri sulle dimensioni enormi, in altri sull’infinitamente piccolo».
E tuttavia Simone rivela che c’è una certa gioia nel riguardare le proprie opere compiute: «Fare un tipo di ricerca pura, in pittura, significa dover dare delle risposte a dei quesiti estetici e formali. Bisogna affrontare ore e ore di lavoro senza alzare la testa dalla tela, eppure la felicità arriva, dopo, quando vedi le opere incorniciate e appese alle pareti. Quando il problema è risolto e la soluzione ha preso aria, riposato un po’, come il vino».
Simone ha dato un contributo importante all’arredamento urbano del centro, con le indicazioni dipinte che punteggiano il percorso che va da via del Roscetto a via Cartolari: «Tutto è nato con un progetto promosso dall’organizzazione Tamat, che ha coinvolto una ventina di ragazzi provenienti da diversi Paesi europei. Hanno seguito diversi laboratori, tra cui il mio, e alla fine abbiamo realizzato queste installazioni permanenti, basate sul modulo della freccia». Le frecce fissate alle mura urbane smentiscono la loro funzione, non indicando alcuna direzione particolare: «Creare delle indicazioni stradali mi sembrava una buona idea perché è un qualcosa che spinge ad alzare agli occhi. In una città medievale è necessario guardare in alto, sennò ti perdi cose come le effigi sui portoni, i balconi, gli scorci. La freccia, però, serve anche a indicare le opere della galleria a cielo aperto di queste strade».
La scultura del Minotauro posta in via Cartolari è un altro apporto che Simone ha dato alla città, un’opera collettiva, sorta dalle mani degli stessi residenti: «Dopo aver creato lo scheletro in legno ho invitato le persone a venire nel mio atelier ogni sabato, per rivestirlo con il gesso che impastavo. La mano del Minotauro, ad esempio, l’ha fatta una bambina di tre anni. È una scultura mutante: ad oggi siamo alla sua terza pittura. Due volte hanno provato a distruggerla, staccandogli un braccio e le corna, ma rimettere insieme i pezzi è facile», sorride Simone.
Le opere che il pittore ha posto nella via sono per lui un modo per dimostrare gratitudine all’associazione Fiorivano le viole: «Per me è stata come una seconda accademia, fatta di persone, improntata all’etica umana del dare-avere».
Testo di Ivana Finocchiaro