A caccia di graffiti con Swen

Leonardo Papini è un veterano della street art perugina. Oggi coordina il laboratorio di Regeneration Center

Da qualche venerdì alla Piastra dell’Ottagono sono partiti i laboratori di arte urbana organizzati da Regeneration Center e da un gruppo di street artist locali. Tra di loro c’è anche Leonardo Papini, un graffiti artist in arte Swen. Leonardo nella vita è un motion designer, lavora con animazioni 2D e 3D, ed ha una grande passione, quella del writing. “Ho iniziato a undici anni grazie a una pubblicità che vidi in televisione – mi racconta – Poi feci una prima esperienza in Francia dove il fenomeno era già esploso. Lì capii qualche anno dopo che lo scrivere con gli spray su un muro faceva parte di una cultura che era l’hip hop, che ho avuto la fortuna di vivere a pieno. Nel mio caso, non ho mai deciso di puntarci troppo professionalmente perché a tutt’oggi è la mia valvola di sfogo e farlo diventare un lavoro avrebbe comportato il rischio di perdere quella carica e voglia per cui a volte ancora oggi mi alzo la domenica mattina e con alcuni amici andiamo a caccia di locali abbandonati. È un po’ la mia bolla di felicità”. E tutto sommato Leonardo si sente fortunato, perché ama il suo lavoro, perfino il lunedì alle 7:30 di mattina quando suona la sveglia.

Mi racconta però che i piani dei suoi genitori per il suo futuro erano un po’ diversi. “Non è semplice abbandonare un corso di studi e tornare a casa spiegando loro che quello che avrei voluto fare nella mia vita non coincideva esattamente con i loro piani. Nella mia mente avrò sempre uno stadio pieno di tanti me che mi applaudono. Non mi ritengo una persona che scende facilmente a compromessi”, continua il writer.

Quando gli confesso, stupita, che ho riscontrato difficoltà nel trovare sue notizie o alcuni lavori sul web, Leonardo mi guarda e sorride. “Non mi è mai piaciuto o forse non ho mai avuto necessità di mettermi sul web in maniera massiccia per cercare lavoro. In particolare, il mondo dei graffiti e in generale delle arti visive l’ho sempre visto molto più reale piuttosto che digital. Certo è che a noi writer il digitale ha cambiato totalmente la vita. Molti ragazzi li ho conosciuti proprio davanti a uno schermo del pc, e dopo un periodo di frequentazione online spesso ci si incontrava dal vero. Salivi su un aereo, stavi qualche giorno in una città con gente del posto che ti faceva da Cicerone e vivevi la realtà underground, tanto che in molti casi sono tornato in quelle stesse città ma con un occhio diverso, quello da turista. Sono esperienze totalmente differenti.”

Il rischio che però mi fa notare Leonardo è che si tratta ormai di un fenomeno talmente dilagante da perdere a volte quell’identità intrinseca nel graffito stesso. “Instagram e Facebook hanno dato molto, ma hanno anche tolto altrettanto. Viene sempre meno quell’intimità nel mostrare un bozzetto a un amico, che portava senz’altro una crescita di stile lenta, ma unica. Perché poi la vera sfida di ogni writer è quella di farsi riconoscere anche senza firmare la propria opera, ma ad oggi questo accade sempre più di rado. Molti ragazzi tentano di approcciarsi a questo mondo, ma non hanno più la possibilità di vivere l’hip hop come l’ho vissuto io e spesso il risultato è qualcosa di visto e rivisto, specie perché vengono bombardati da un’infinità di input ma con scarsa capacità di elaborare ciò che gli arriva”. Chiaramente, se si vuole preservare una cultura, è fondamentale tramandarla in prima persona, e in un certo senso i laboratori di Regeneration Center hanno anche questa finalità, provare a innescare nei partecipanti curiosità e indurli a documentarsi e a capire che dietro una semplice scritta o disegno c’è un mondo.

Ma dov’è possibile scovare un writer alle prese con i suoi spray? Swen mi spiega che esistono dei muri che nel loro gergo vengono chiamati Hall of fame e che sono legalizzati dal Comune, come ad esempio quello alla stazione di Fontivegge. Tuttavia, come spesso accade, i writer preferiscono cimentarsi in posti abbandonati: “Prima di tutto perché si individua uno spazio libero senza dover chiedere niente a nessuno. Molte volte, inoltre, non c’è l’interesse di avere un pubblico, come nel mio caso, ma piuttosto di trascorrere qualche ora soli con la propria arte e magari con un po’ di musica di sottofondo. E poi, francamente, scrivere su un muro che ti sei preso tu ha tutto un altro valore; se non avessi avuto i graffiti illegali nella mia vita non sarei stato così motivato a continuare. Questo lo posso dire, sì? È importante evidenziare però, che gli spazi legali concessi nella nostra città non sono stati molti nel corso degli anni e non è affatto semplice riuscire a ottenerli. Questo perché probabilmente le istituzioni non sono ancora del tutto pronte a recepire questo tipo di arte e lo dimostra la scarsa presenza in giro per la città. Eppure, le arti visive, vuoi o non vuoi, piacciono un po’ a tutti, perciò di muri come quello in piazza del Bacio dovrebbero essercene molti di più”.

Articolo di Eleonora Proietti Costa

Foto di Leonardo Papini