L’ORARIO DI VISITA AL REPARTO DI NEONATOLOGIA

 

racconto neo

L’ORARIO DI VISITA AL REPARTO DI NEONATOLOGIA

Ottobre 2014

Durante l’orario delle visite il lungo budello di vetro del reparto di Neonatologia è affollato da piccole comunità di nonni, zii, parenti, amici. Tutti hanno più o meno la medesima espressione estatica, le mani congiunte sotto il mento. Ovunque le voci si assottigliano – ho sentito le corde vocali di alcuni omoni stiracchiarsi in impensabili acuti – accavallandosi in una serie di commenti che potrebbero riassumersi in «Quant-è-bello-sto-piccirill» o nella generale rivendicazione avanzata da ognuno dei presenti (amici inclusi): «Somiglia-tutto-ammé».
Mai avrei immaginato, però, che quelle piccole creature nelle incubatrici potessero essere oggetto di attenzioni anche da parte delle micro-comunità estranee, ma vicine nello spazio ristretto del reparto. Mentre osservo mio nipote, anch’io con sguardo devoto e mani strette, mi si accosta lentamente un’intera ciurma di signore, immerse in una glassa di foulard profumati.
«Ohhh! Ma che belliiino!» recitano sincrone, le dita intrecciate sotto la pappagorgia.
«Eh sì, somiglia tutto a lei. No, aspetti, forse più a sua madre. È sua madre quella?»
«C’è da dire che lo sguardo è quello di un rubacuori!»
L’estasi mi ottunde i sensi, annuisco distratta a ogni nuova esclamazione, mi lascio sfuggire qualche “grazie” qua e là.
A partire da quel momento anch’io mi sento autorizzata a visitare gli altri gruppi di astanti in adorazione. Riverso loro la mia felicità per la loro felicità, è una cosa che ci passiamo a vicenda. Davanti ai bambini collegati a una folla di tubi e fasciati in medicazioni, perfino la mano sconosciuta si stringe sulle spalle dell’altro, le parole confortano e gli occhi ringraziano.
E poi viene quel giorno che finalmente accompagni tuo nipote fuori dal reparto, nel primo spazio aperto del mondo che conoscerà. Ogni passante si abbandona alla tentazione di sbirciare nel baby-pullman e riprende a cantare il «Quanto-è-bello-sto-piccirill», finché non arriva un uomo basso, calvo e dagli occhi divaricati (uno alla padella, uno al gatto) che ti consola così: «Signorina, anch’io nacqui all’ottavo mese, ed eccomi qui – sorride sbilenco – sano come un pesce!»
E allora sai che la dolcezza abita il mondo.

Testo di Ivana Finocchiaro