IL FESTIVAL CHE VORREMMO CI FOSSE

Il festival che vorremmo ci fosse

La quarta edizione del Perugia Social Photo Fest è in bilico. Cerchiamo di capire perché

Non è la prima volta che «Luoghi Comuni» parla del Perugia Social Photo Fest. Il format, inaugurato nel 2012, è dedicato all’organizzazione di conferenze, laboratori ed esposizioni sulla fotografia sociale e terapeutica. Sin dalla sua prima edizione, frutto del lavoro brillante dell’associazione Lucegrigia, il finanziamento del festival è derivato in parte dalle campagne di crowdfunding, con una partecipazione calorosa che dimostra quanto fosse sentita la necessità di un evento del genere, unico nel panorama internazionale. Del resto, è proprio questo il motivo per cui l’anno scorso il PSPF ha condotto a Perugia ben duemilaseicento persone da quattordici Paesi, in una città stordita dal gelo novembrino. A maggio di quest’anno la commissione europea ha conferito al festival l’EFFE label, inserendola tra le manifestazioni che si sono distinte per qualità artistica e impatto a livello internazione, quale “vero dono per la cultura europea”. A settembre, la premiazione dei festival selezionati sarà un’occasione di promuovere non solo la manifestazione stessa, ma la città che l’ha da sempre ospitata, Perugia.

Nonostante ciò, la trepidante attesa di quest’appuntamento è stata frustrata da un comunicato stampa rilasciato a luglio, e intitolato Il Festival che non c’è. In questa nota, Antonello Turchetti, direttore artistico della rassegna, ha scritto dell’«inaudita non-menzione» del festival «nella lista delle iniziative promosse e foraggiate in occasione della corsa perugina a capitale europea della cultura». Lamentando la faticosa ricerca di un dialogo costruttivo con l’amministrazione, tra promesse e appuntamenti disattesi, Antonello ha espresso la speranza che le parole «territorio, eccellenza, cultura» non siano «vuoti latrati di convenienza».

Rimane ancora incerto come e quando il festival (tra l’altro, già pronto) verrà rimesso in scena. In effetti, la sospensione della sua quarta edizione non è legata all’impossibilità di realizzarla concretamente, allo stesso modo in cui è stata finanziata negli anni precedenti, tramite l’aiuto dei molti sostenitori. Si tratta di un atto di denuncia, di una scossa elettrica diretta a «alcuni esponenti politici» che stentano a riconoscere il valore d’iniziative di questa portata e che non comprendono quanto sia onorevole il lavoro di coloro che producono cultura, elevando la città e la regione quale centro d’iniziative di valore. Ciò che viene richiesto dal team di Lucegrigia è, dunque, un appoggio solido che faccia da garante non solo per l’esecuzione di questa edizione dell’evento, ma che conduca a una collaborazione stabile con l’amministrazione utile all’abbandono della formula del crowdfunding quale unica fonte di finanziamento.

A soli due giorni dalla pubblicazione del comunicato, la notizia ha ottenuto un migliaio di condivisioni su Facebook e Twitter e ha portato a dimostrazioni di solidarietà e supporto da ogni dove. Nel caso non si riesca a trovare una soluzione condivisa con l’amministrazione pubblica, una delle ipotesi avanzate da Turchetti è che il format venga esportato fuori dai confini perugini: «Purtroppo sono in molti, qui, a ritenere che ciò che viene fatto in modo volontario, per passione, vada da sé, pure senza alcun sostegno o riconoscimento. Spesso Perugia tende a encomiare il proprio passato, piuttosto che puntare al futuro, aprendo le porte all’Europa come, ad esempio, facciamo noi col nostro festival. Tuttavia, non vorrei spostarlo altrove: a Perugia c’è una solida rete di persone che mi ha aiutato a farne ciò che è oggi. Al momento sto riflettendo su quale forma dare alla manifestazione, di modo che sopravviva».

Significativamente, il concept del PSPF di quest’anno era incentrato sulla cecità emotiva e sociale, sulle procedure di filtraggio e cancellazione dei contenuti perturbanti attuate dall’individuo, di fronte alle informazioni visive che riceve quotidianamente. Una forma di chiusura che si potrebbe reinterpretare in luce del “Festival che non c’è”, e che si attua anche di fronte alle bellezze di cui ignoriamo il potenziale e che ci circondano, assopite, nel contesto che abitiamo.

Testo di Ivana Finocchiaro