Postmodernissimo

Foto di Giacomo Ficola

Postmodernissimo

Un'operazione di fiducia colettiva
Quello di via del Carmine era un cinema speciale, un tempio sacro per gli appassionati. «Dentro il Modernissimo ci sono cresciuto e mi sono ammalato di cinema, poi ho letto il progetto del PostMod e ho deciso di sostenerlo», dice uno dei tanti venuti a sottoscrivere una donazione. Lo spazio nasce come teatro patrizio nel settecento, poi adibito a cinema negli anni Trenta, dal 1978 diventa Modernissimo con la gestione Donati che lascia un segno indelebile nella memoria dei suoi frequentatori. Chiuso da quattordici anni, riapre oggi sotto il nome di PostModernissimo coi calcinacci dei lavori in corso pregni di storie e un progetto d’avanguardia.

A prendere in consegna questa preziosa eredità culturale sono quattro giovani perugini, lavoratori nel campo dell’audiovisivo, coraggiosi soci fondatori dell’Anonima Impresa Sociale: Giacomo Caldarelli, Ivan Frenguelli, Andrea Mincigrucci, Andrea Frenguelli. Il nome suggerisce il senso dell’operazione: «L’idea è quella di metterci un passo indietro, ci proponiamo come trait d’union per riconnettere il tessuto sociale tra il cinema e la città». Il PostModernissimo vuole essere infatti il primo “cinema partecipato” di Perugia: gli spettatori sono coinvolti sia nella campagna di sostegno alla riapertura sia nella successiva fase di gestione e programmazione dello spazio.
Il progetto, come spiegano i promotori, è dare vita entro la fine dell’anno a un polo culturale complesso, polifunzionale: non solo cinema, dunque, ma anche musica, teatro, videoarte, pittura; cercando di proporre attività durante tutto l’arco della giornata e non solo la sera. Il PostModernissimo vuole essere un luogo di socialità e aggregazione, riprogettato per interpretare le esigenze del pubblico in maniera eterogenea, puntando alla qualità dell’offerta, con uno sguardo attento a quello che accade nei luoghi della cultura di altre città europee: Liegi, Strasburgo, Londra. Tre sale indipendenti per un totale di duecentocinquanta posti, con tre proposte differenti e diverse possibilità di incastro. La terza sala, precedentemente adibita a magazzino, rappresenta il fulcro dell’innovazione: saranno messe a disposizione dello spettatore delle media library, trasformando anche l’offerta che viaggia su Internet in un rito sociale. Da una fruizione privata e individuale dei contenuti web a una collettiva e relativamente “autogestita”. Così facendo si responsabilizza lo spettatore che sceglie cosa proiettare in sala.

Un investimento ingente e un progetto ambizioso, dunque, che dipende in buona parte dalla risposta della cittadinanza, configurandosi come “un’operazione di fiducia collettiva”: su questa idea si basa la campagna di crowdfunding, con diverse possibilità di donazione da dieci a mille euro. Versando cento euro, poi, si può diventare soci finanziatori del progetto con diritto a partecipare all’Assemblea degli Spettatori, condividendo la responsabilità della gestione della struttura. La reazione è più che positiva: il temporary store in via del Carmine è sempre visitato da sostenitori e curiosi che si stanno affezionando al progetto; il 10 settembre è stato anche organizzato il primo CashMob, una giornata di mobilitazione popolare per sottoscrivere le donazioni. Un coinvolgimento forte, segno di un legame emotivo con i vecchi frequentatori del cinema d’essai, ma anche risultato dell’adesione di molti giovanissimi che sentono l’esigenza di uno spazio del genere.

La nascita del PostModernissimo è perciò molto di più della riapertura di un cinema, è piuttosto, come la definisce Ivan, “un’operazione psicogeografica”: una riqualificazione su più livelli, del luogo, del quartiere, della città. In particolare, per quanto riguarda via della Viola, i fondatori dell’Anonima intendono avviare una collaborazione proficua con l’associazione Fiorivano le Viole, inserendosi in quel lavoro di promozione culturale che ha radicalmente trasformato la zona negli ultimi due anni.

È anche una questione di affetto e di orgoglio nei confronti di Perugia e del centro storico. «È qui che siamo cresciuti, ci siamo formati, qui lavoriamo e qui hanno preso corpo i nostri progetti», conclude Giacomo.

Testo di Lavinia Rosi